Quando il primo signore della guerra delle Facce Bruciate giunse nelle nostre terre, molti lo seguirono.
“Ci condurrà alla vittoria contro i Rumac! Ha varcato i monti di Penn coperti di neve con un esercito, un’impresa degna dei canti dei Bardi! Chi potrà mai resistergli?”
Ed allora, guerrieri da ogni teuta accorsero sotto il suo stendardo porporino, desiderosi di vendetta, pronti a correre a gloria immortale. Ma non tutti.
Vi fu anche chi, come noi, preferì rimanere in disparte.
Augurammo ogni fortuna a chi tra i nostri amici e i nostri cari si accingeva ad andare a ingrossare le fila dell’esercito di quell’uomo, che veniva da così tanto lontano…
I Rumac avevano spezzato il nostro impeto a Capo Talamon, ci avevano annientati sotto le mura di Clastidium… come potevano riuscire dove persino i poderosi Gaesati avevano fallito, quei piccoli uomini dai volti bruciati dal sole, e quei loro mercenari dalla lunga chioma, che parlavano una lingua così simile e al contempo così diversa dalla nostra?
Se bisognava marciare contro i Rumac, così sarebbe stato, ma noi saremo rimasti a difendere le nostre terre, piuttosto che lanciarci in un’impresa così incerta.
E così guardammo i nostri guerrieri partire, e passammo il tempo a fortificare i villaggi e ad oliare le armi, temendo la terribile vendetta dei Rumac che, eravamo certi, sarebbe arrivata.
Poi, cominciarono ad arrivare le notizie.
I Liguri di Montagna e quelli di Pianura si erano uniti agli stranieri , e nella piana del Bodinkos le truppe dei Rumac erano state annientate.
Dopo, di nuovo, sulle sponde del Lago dei Rasenna, in una grande imboscata in cui i nostri guerrieri si erano coperti di gloria, oltre quindicimila Rumac erano stati massacrati, ed altrettanti presi prigionieri.
Ed infine, in un luogo remoto del profondo Sud, due enormi eserciti di Rumac, più di sessantamila uomini, avevano incontrato la morte, per mano dei nostri guerrieri e grazie al genio del condottiero delle Facce Bruciate.
Un grande giubilo colmò allora i nostri animi.
Ma poi, con esso, venne anche un grande vuoto, una morsa che attanagliava le viscere… mentre quelli che avevano seguito lo straniero sarebbero stati ricordati per sempre nei canti dei Bardi, cosa sarebbe stato di noi? Il Nulla, l’Oblio…
O peggio: saremmo stati ricordati come i tentennatori, come coloro che avevano tremato… gli indugianti… i CODARDI…
Mentre così ci disperavamo, gli Dei volsero verso di noi il loro sguardo più benevole, ed avvenne!
Un secondo signore della guerra delle Facce Bruciate giunse, per la stessa strada che aveva percorso il primo. Disse di essere suo fratello, e di giungere con nuove truppe, per aiutarlo a schiacciare una volta per tutte i Rumac.
Certo, il suo esercito era più modesto, ma portava con se delle bestie da combattimento terrificanti, torreggianti come una quercia e dalle zanne lunghe e ricurve, che facevano tremare la terra ad ogni passo.
Con gratitudine allora, accorremmo sotto lo stendardo porporino delle Facce Bruciate, ed ora marciamo spediti attraverso le terre che una volta erano dei Rumac, per congiungerci con l’esercito del primo condottiero.
Più che una marcia di guerra sembra una festa, e se anche le Facce Bruciate lanciano sguardi obliqui ai nostri motteggi e agli otri di cervogia ed idromele che ci passiamo mentre la colonna avanza, poco importa… è il fratello del loro signore che esaltiamo nei nostri canti, e la lingua impastata d’idromele aiuta a pronunciare quel nome così esotico, misterioso e musicale… un nome che significa vittoria, un nome che significa gloria e libertà...
“Khe-nu-baal! Khe-nu-baal…”